Castel del Monte
Il castello è costruito direttamente su un banco roccioso, in molti punti affiorante, ed è universalmente noto per la sua forma ottagonale. Su ognuno degli otto spigoli si innestano otto torri della stessa forma nelle cortine murarie in pietra calcarea locale, segnate da una cornice marcapiano, si aprono otto monòfore nel piano inferiore, sette bifore ed una sola trifora, rivolta verso Andria, in quello superiore.
Il cortile, di forma ottagonale, è caratterizzato, come tutto l'edificio, dal contrasto cromatico derivante dall'utilizzo di breccia corallina, pietra calcarea e marmi; un tempo erano presenti anche antiche sculture, di cui restano solo la lastra raffigurante il Corteo dei cavalieri ed un Frammento di figura antropomorfa.
In corrispondenza del piano superiore si aprono tre porte-finestre, sotto cui sono presenti alcuni elementi aggettanti ed alcuni fori, forse destinati a reggere un ballatoio ligneo utile a rendere indipendenti l'una dall'altra le sale, tutte comunicanti tra loro con un percorso anulare, ad eccezione della prima e dell'ottava, separate da una parete in cui si apre, in alto, un grande òculo, probabilmente utilizzato per comunicare.
Le sedici sale, otto per ciascun piano, hanno forma trapezoidale e sono state coperte con un'ingegnosa soluzione. Lo spazio è ripartito, infatti, in una campata centrale quadrata coperta a crocièra costolonata, ( con semicolonne in brèccia corallina a pianterreno e pilastri trilobati di marmo a quello superiore), mentre i residui spazi triangolari sono coperti da volte a botte ogivali.
Le chiavi di volta delle crociere sono diverse fra loro, decorate da elementi antropomorfi , zoomorfi e fitomorfi.
Il collegamento fra i due piani avviene attraverso tre scale a chiocciola inserite in altrettante torri.
Alcune di queste torri accolgono cisterne per la raccolta delle acque piovane, in parte convogliate anche verso la cisterna scavata nella roccia, al di sotto del cortile centrale. In altre torri, invece, sono ubicati i bagni, dotati di latrina e lavabo, ed affiancati tutti da un piccolo ambiente, probabilmente utilizzato come spogliatoio o forse destinato ad accogliere vasche per abluzioni, poiché la cura del corpo era molto praticata da Federico II e dalla sua corte, secondo un'usanza tipica di quel mondo arabo così amato dal sovrano.
Grandissimo interesse riveste il corredo scultoreo che, sebbene fortemente depauperato, fornisce una significativa testimonianza dell'originario apparato decorativo,un tempo caratterizzato anche dall'ampia gamma cromatica dei materiali impiegati: tessere musive, piastrelle maiolicate, paste vitree e dipinti murali, di cui fra la fine del '700 ed i primi dell'800 alcuni scrittori e storici locali videro le tracce, descrivendole nelle loro opere.
Attualmente sono ancora presenti le due mensole antropomorfe nella Torre del falconiere, i telamoni che sostengono la volta ad ombrello di una delle torri scalari ed un frammento del mosaico pavimentale nell'VIII sala al piano terra.
Nella Pinacoteca Provinciale di Bari sono stati temporaneamente depositati, invece, due importanti frammenti scultorei, raffiguranti una Testa ed un Busto acefalo, rinvenuti nel corso dei lunghi restauri, che non hanno restituito alcuna traccia, invece, della vasca ottagonale posta al centro del cortile, citata da alcuni studiosi del secolo scorso.
La vista di questo caratteristico castello probabilmente non sarà una novità neanche per i meno inclini alle visite turistiche, dal momento che già il 2 maggio 1977, un francobollo da 200 lire ne riportava una veduta prospettica. Lo troviamo di nuovo, questa volta nell'emissione della serie ordinaria, raffigurato nel valore dal 20 lire, emesso il 22 settembre 1980.
Nella Pinacoteca Provinciale di Bari sono stati temporaneamente depositati, invece, due importanti frammenti scultorei, raffiguranti una Testa ed un Busto acefalo, rinvenuti nel corso dei lunghi restauri, che non hanno restituito alcuna traccia, invece, della vasca ottagonale posta al centro del cortile, citata da alcuni studiosi del secolo scorso.
"Castel del Monte possiede un valore universale eccezionale per la perfezione delle sue forme, l'armonia e la fusione di elementi culturali venuti dal Nord dell'Europa, dal mondo Musulmano e dall'antichità classica. È un capolavoro unico dell'architettura medievale, che riflette l'umanesimo del suo fondatore: Federico II di Svevia."
Con questa motivazione, nel 1996, il Comitato del Patrimonio Mondiale UNESCO riunito a Merida (Messico), ha inserito nella World Heritage Listil castello, fatto realizzare da Federico II di Svevia intorno al 1240.
Il solo documento di epoca federiciana riguardante il monumento è un mandato del 29 gennaio 1240, con il quale il sovrano, da Gubbio, ordinava a Riccardo da Montefuscolo, Giustiziere di Capitanata, di acquistare calce, pietre e quant'altro fosse necessario "...pro castro quod apud Sanctam Mariam de Monte fieri volumus".
In tale documento era usato il termine latino actractum, suscettibile di varie interpretazioni: pavimento, livellamento del terreno, lastrico di copertura, fino ad un più generico significato di materiale edilizio.
L'unica certezza, quindi, è che nel 1240 fossero in corso a Castel del Monte dei lavori, sul cui andamento Federico chiedeva peraltro di avere frequenti aggiornamenti. Sulla natura di tali opere, se in altre parole fossero di fondazione o di completamento, la critica appare discorde. Alcune osservazioni sembrerebbero tuttavia avvalorare la seconda ipotesi. Il castello sorge direttamente sul banco roccioso e non sarebbe stato effettuato alcun intervento di preparazione, o di livellamento del terreno, prima di avviare la costruzione. Sembra dunque più plausibile che il termine actractum indichi una copertura.
Poiché Castel del Monte compare come un edificio compiuto nello Statutum de reparatione castrorum (1241-46) , elenco delle strutture castellari bisognose di interventi di manutenzione, ciò si giustifica solo anticipandone la fondazione rispetto al 1240.
Apparentemente isolato e periferico, in realtà il castello sorgeva non lontano dalla strada che collegava Andria ed il Garagnone (presso Gravina), importanti nuclei insediativi dell'epoca; la sua collocazione in cima ad una collina alta 540 metri sul livello del mare e ben visibile a distanza, faceva di Castel del Monte un elemento essenziale nel sistema di comunicazione all'interno della rete castellare voluta da Federico II, sebbene gran parte della critica abbia escluso una sua funzione militare per l'assenza di fossato, caditoie e ponte levatoio.
Tutt'altro che casuale, e non solo a livello strategico, appare quindi la scelta del luogo: una collina inondata dal sole in tutte le ore del giorno, con cui il monumento sembra costantemente in relazione. La luce del sole e le ombre che ne nascono, esaltano e definiscono le forme del monumento, regolarissime eppure sottilmente differenti, e ne valorizzano i colori, anch'essi uniformi e mutevoli insieme.
Un rapporto, quello col sole, che nel Medioevo condizionava l'orientamento degli edifici sacri e che appare più che ovvio nel caso di Federico II, appassionato di astronomia e paragonato o addirittura identificato con l'astro. Così il figlio Manfredi ne annunciò infatti la morte: "E' tramontato il sole della giustizia, è morto il difensore della pace".
Oggetto di studio e diversamente interpretata è anche la destinazione d'uso del castello. Sebbene il termine castrum, in ambito svevo, si riferisca a strutture prevalentemente difensive, pur non escludendo utilizzi accessori, nel caso specifico la presenza di bagni e camini ad entrambi i piani del castello, il lusso delle rifiniture, la raffinatezza del repertorio scultoreo rendono plausibile anche un uso residenziale e di rappresentanza, riservato probabilmente ad una ristretta cerchia di privilegiati molto vicini al re, viste le dimensioni dell'edificio.
E' altrettanto innegabile che per la sua posizione sopraelevata e per la particolarità della sua forma Castel del Monte, capace di affascinare anche l'uomo di oggi, fosse oggetto di enorme stupore ed ammirazione da parte di sudditi, alleati, nemici di Federico II. E che fosse, dunque, uno dei mezzi più efficaci da lui concepiti per esaltare la sua grandezza, il prodotto più rappresentativo della sua concezione di "arte al servizio del potere".
Un insieme di funzioni, quindi, si può dire abbia caratterizzato questo eccezionale monumento, emblematica espressione della variegata personalità del suo committente, uomo del medioevo che a grandi pregi quali vastità di cultura, molteplicità di interessi, intelligenza, spirito di tolleranza e amore per la pace e la giustizia, unì anche grande orgoglio ed ambizione.
La vista di questo caratteristico castello probabilmente non sarà una novità neanche per i meno inclini alle visite turistiche, dal momento che già il 2 maggio 1977, un francobollo da 200 lire ne riportava una veduta prospettica. Lo troviamo di nuovo, questa volta nell'emissione della serie ordinaria, raffigurato nel valore dal 20 lire, emesso il 22 settembre 1980.
Il Castel del Monte rappresenta un ottagono ed è presente nella bandiera della Regione Puglia.
Nel 1998 la sagoma di Castel del Monte veniva scelta per la moneta metallica da 1 centesimo di euro coniata in Italia. L'edificio è stato anche scelto per rappresentare il Politecnico di Bari: nello stemma del politecnico, infatti, è presente la pianta dell'edificio. È altresi parte del logo di Bancapulia.
Sotto il presbiterio vi è una cripta di grande valore storico. Questa era la chiesa primitiva di Andria e sorgeva al livello stradale dell'epoca.
L'immagine venne denominata Madonna dell’Altomare, per essere stata ritrovata a pelo d’acqua, e fu oggetto di pellegrinaggio in quanto ritenuta miracolosa. Venne costruita la chiesa per ospitare i fedeli in costante aumento, la cui facciata è attribuita a Federico Santacroce. L'attuale edificio è frutto di un rifacimento eseguito tra il 1875 e il 1877.
Merita considerazione la cripta di Santa Croce che prende il nome dal Santo Legno della Croce ritrovato dalla madre di Costantino, Elena, secondo una leggenda tramandataci.
La cripta è ubicata in una zona la cui natura del terreno è prevalentemente tufacea e presenta grosse cavità sia naturali che derivano dal dilavamento di acque meteoriche. La cripta di S. Croce è particolarmente importante perché in questa zona ebbe inizio da parte dei monaci la costruzione della cripta – chiesa ottenuta scavando il tufo a partire "dalla strada e dal sito più agevole".
L'esterno è costituito da una originaria parte scavata nella roccia tufacea alla quale è stato aggiunto un avancorpo murario in blocchi adiacente ad un altro, anch'esso in tufo.
L'interno è di "forma basilicale, a tre navate sorrette da quattro pilastri naturali e chiuse da una quarta navatina trasversale". L'altare sorgeva nel mezzo di questa e dietro ad esso si prolungava la navata longitudinale mediana con un'abside semicircolare.
Il Castello di Andria fu costruito dai normanni nell'ambito del processo di "incastellamento" dagli stessi svolto durante e dopo la conquista dell'Italia meridionale.
Ubicato in corrispondenza del punto più alto della città, nei suoi pressi sorgeva la porta omonima, demolita nel XIX secolo.
La struttura normanna originaria doveva essere poco più che un palazzo fortificato costruito sul ciglio delle mura. Nel periodo svevo il castello fu ampliato con la costruzione di una torre quadrangolare collocata verso l'esterno, a ridosso della cinta muraria. Successivamente, in periodo aragonese, la torre fu circondata da un baluardo poligonale e ridotta in altezza per essere meno esposta al tiro delle artiglierie. Nella parte sud del castello furono costruiti degli alloggiamenti militari, successivamente trasformati dai Carafa in mulini.
Nella prima metà dell'800 la struttura originaria normanna era divenuta di proprietà privata e trasformata in abitazioni civili. Nel 1827 il bastione poligonale fu trasformato in sede del corpo di guardia urbano: una porta aperta a forza attraverso lo spessore murario reca nel cartiglio della chiave l'iscrizione "Custos Domus 1827". Successivamente l'intera struttura, compresa la zona dei mulini, è divenuta di proprietà privata. Nella seconda metà del XIX secolo la parte a nord del bastione è stata demolita per la costruzione di un edificio privato.
Quello che resta del castello è oggi incastrato tra un palazzo ottocentesco a sinistra, costruito sull'area delle fossate, ed un palazzo contemporaneo sulla destra.
Chiesa di Santa Maria Assunta
La chiesa di Santa Maria Assunta è il duomo di Andria, e cattedrale della diocesi omonima.
La cattedrale fu fatta costruire da Goffredo d'Altavilla, signore di Andria, tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII secolo su una precedente chiesa, dedicata a san Pietro, precedente l’anno Mille e che oggi corrisponde alla cripta dell’edificio. Tale costruzione pre-normanna corrisponde all'attuale presbiterio ed aveva l'ingresso a mezzogiorno.
Nel 1063 il duomo fu ingrandito e furono aggiunte tre navate comunicanti tramite dodici pilastri con archi a tutto sesto tipici del romanico pugliese. Sull'ultimo pilastro a destra furono incisi quattro esametri, tutt'ora esistenti che recitano: "NON TIMET AERUMNA, TALEM SIBI VIRO; COLUMNAM / FABRICAT IN COELIS, GAUDE COMITISSA FIDELIS / VIR TIBI RICHARDUS, TU CONJUX NOBIS EMMA: / ILLE VELUT NARDUS, TU SICUT SPLENDIDA GEMMA".
I Normanni lasciarono la loro impronta qui vi è infatti la sepoltura della moglie del conte Riccardo d'Altavilla, Emma.
Anche gli Svevi, e precisamente Federico II fece seppellire due delle sue mogli: Jolanda di Brienne e Isabella d'Inghilterra, le cui sepolture sono attualmente collocate nella cripta, ma che un tempo invece erano ben in mostra all'esterno della cattedrale dove si ergevano due mausolei distrutti in seguito dagli Angioini nemici degli Svevi.
A metà del XIV secolo la chiesa fu saccheggiata dall’ esercito del re Luigi I d'Ungheria e necessitò di alcuni lavori che si realizzarono nella prima metà del secolo successivo.
Nel 1414, il duca di Andria Francesco del Balzo fece ampliare ulteriormente la cattedrale. Furono ingranditi il presbiterio, con la costruzione di un grande arco a sesto acuto che divise il basso presbiterio dall'alto presbiterio e fu edificato l'abside.
Nel 1414, il duca di Andria Francesco del Balzo fece ampliare ulteriormente la cattedrale. Furono ingranditi il presbiterio, con la costruzione di un grande arco a sesto acuto che divise il basso presbiterio dall'alto presbiterio e fu edificato l'abside.
Nel 1440, il duca Francesco II Del Balzo ampliò la cappella di San Riccardo adornandola di bassorilievi in pietra locale raffiguranti scene della vita del santo.
Nel 1473, il vescovo Martino De Soto Mayor edificò una serie di cappelle laterali accanto alle due navate.
Il 13 febbraio del 1503 i tredici cavalieri italiani capeggiati da Ettore Fieramosca, giurarono nella cappella di San Riccardo: "Vittoria o Morte", prima della famosa Disfida di Barletta.
La cattedrale subì sostanziali modifiche nel Seicento, nel Settecento ed ancora nell’Ottocento, quando furono costruite la facciata ed il porticato esterno.
Qui nel 44 d.C. San Pietro nel suo viaggio verso Roma celebrò una messa evangelizzando la comunità allora pagana. Questo episodio in seguito fu rappresentato dall'inserimento sulla cuspide del campanile della cattedrale, non della solita croce ma di un gallo simbolo del santo. Il gallo serviva infatti ad indicare ai fedeli il luogo ove si trovava la chiesa di San Pietro. San Pietro, secondo la tradizione, prima di celebrare la messa di conversione dei cittadini, infranse una statua di argilla di una divinità pagana adorata dagli andriesi.
Nel 537 San Riccardo fu sepolto in un sarcofago di pietra con baldacchino sostenuto da colonne nell'antica chiesa. Il corpo del santo patrono rimase nella chiesetta di San Pietro sino al VIII secolo.
Questa chiesetta in seguito fu usata come ossario e totalmente riempita di scheletri e terriccio e fu quasi dimenticata fino ai primi del Novecento quando fu ripulita e riaperta al culto.
La facciata, progettata dall’architetto Federico Santacroce, fu realizzata, nella sua parte inferiore, nel 1844; la parte superiore fu ultimata nel Novecento sul modello romanico con rosone e monofore.
Il campanile che affianca l’edificio è frutto di due successive realizzazioni: esso sorge su una torre di epoca longobarda (VIII secolo), rimaneggiata dai Normanni.
L’interno della cattedrale è a tre navate con transetto (ove è una pregevole copertura lignea) e dieci cappelle laterali, cinque per lato, riaperte dopo i restauri del 2008. Oltre a queste, vi sono altre due cappelle. La prima è collocata nel transetto di sinistra, ed è chiamata popolarmente “il cappellone”: è la cappella dedicata al santo patrono della città, san Riccardo, costruita verso la fine del XV secolo.
Nell’ arco della cappella e nei pilastri che lo sorreggono sono sedici formelle e dieci bassorilievi in pietra locale, che ricordano miracoli attribuiti al santo ed episodi della sua vita. Sulla destra del presbiterio vi è un’altra cappella, dedicata alla “sacra spina”, una spina della corona di Gesù donata alla cattedrale da Beatrice d'Angiò nel giorno del suo matrimonio con il duca Beltrando del Balzo.
Nell’ arco della cappella e nei pilastri che lo sorreggono sono sedici formelle e dieci bassorilievi in pietra locale, che ricordano miracoli attribuiti al santo ed episodi della sua vita. Sulla destra del presbiterio vi è un’altra cappella, dedicata alla “sacra spina”, una spina della corona di Gesù donata alla cattedrale da Beatrice d'Angiò nel giorno del suo matrimonio con il duca Beltrando del Balzo.
Nella chiesa si conservano poi importanti opere proveniente dal distrutto complesso conventuale delle benedettine, che affiancava la cattedrale: una pittura su tavola del XII secolo, raffigurante la cosiddetta “Madonna di Andria”; il portale del convento, addossato all’esterno a destra della facciata.
Dalla cappella della sacra spina si accede alla cripta, impostata a due navate con volta a crociera e colonne di spoglie, alcune senza capitello. In fondo vi è un altare addossato ad un pilastro di sostegno della volta. Sopra l'altare vi è un affresco raffigurante il Salvatore che con la mano destra benedice mentre con la sinistra sorregge un libro su cui è scritto: "Lux ego sum mundi et redemptor". Sempre nella cripta, all'ingresso vi sono le tombe di Jolanda di Brienne ed Isabella d'Inghilterra, mogli di Federico II del Sacro Romano Impero.
Esternamente a lato della Cattedrale è posta una lapide di marmo che ricorda l'evento della Disfida di Barletta e che recita: "In questo tempio il XIII febbraio MDIII prima di avviarsi al campo i tredici duce il Fieramosca vindici dell'onore italiano offeso a piè dell'ara propiziatoria stretti in un voto sacramentarono vittoria o morte"
Chiesa di San Domenico
La chiesa e l'annesso convento in stile gotico, furono fatti costruire nel 1398 da donna Sveva Orsini, vedova del duca di Andria Francesco I Del Balzo.
La chiesa fu intitolata alla Madonna dell'Umiltà e fu affidata in custodia ai padri domenicani. Il convento nacque in seguito alla donazione di un giardino di donna Sveva Orsini ai domenicani.
La chiesa fu intitolata alla Madonna dell'Umiltà e fu affidata in custodia ai padri domenicani. Il convento nacque in seguito alla donazione di un giardino di donna Sveva Orsini ai domenicani.
Nel 1769 venne completato il campanile di pietra in stile barocco.
Nel 1809 il convento fu utilizzato come carcere.
L'impianto gotico della chiesa è stato rimaneggiato nel corso dei secoli. Una scalinata in pietra conduce alla facciata che ha un prospetto semplice e presenta un portale d'ingresso rinascimentale del 1510. Sull'architrave del portale vi è una conchiglia all'interno della quale vi è scolpita la Vergine con il Bambino Gesù sulle ginocchia. Tre cornici addobbano l'architrave con la presenza di quattro teste di serafini. Due capitelli ai lati inquadrano la porta. Sulla base dei pilastri sono scolpiti in pietra dei bassorilievi. Sono raffigurati Dio che guarda Adamo su di uno e sull'altro Adamo ed Eva vicini all'albero del peccato.
L'interno è ad una sola navata e vi si possono scorgere cinque altari di marmo. Gli altari prima del'Ottocento erano tredici. Nella sacrestia è conservato il corpo del Duca Francesco II del Balzo. Sopra la sua tomba vi è un busto di marmo bianco raffigurante lo stesso duca in abito di terziario domenicano, attribuito allo scultore Francesco Laurana.
Il campanile è in stile barocco ed è alto 76 metri.
Il santuario della Madonna dei Miracoli è un santuario cattolico della città di Andria (provincia di Barletta-Andria-Trani), sito in piazza San Pio X.
Vi si conserva un'immagine della Madonna con il Bambino, ritenuta miracolosa, incoronata da dodici stelle (rappresentanti i dodici apostoli), alla destra il sole (rappresentante il Cristo) e alla sinistra la luna (rappresentante la stessa Vergine).
La tradizione vuole che il sabato 10 marzo del 1576 venne riscoperta la laura basiliana di Santa Margherita in lama, in seguito alla ricerca condotta dopo l'apparizione in sogno della Madonna ad un ragazzo del luogo. Nella laura venne scoperta un'icona bizantina con l'immagine della Madonna con il Bambino, di fronte alla quale venne posizionata una lampada che i tre scopritori si impegnarono a tener accesa a turno.
Passato del tempo, uno dei tre si dimenticò di rifornire d'olio la lampada, che fu trovata ugualmente ardente e colma d'olio. L'evento, ritenuto miracoloso, venne riferito al vescovo di Andria, Luca Fieschi. Il 6 giugno dello stesso anno della scoperta venne celebrata una messa nella quale l'immagine della Vergine ebbe il nome di "Santa Maria dei Miracoli d'Andria".
Il vescovo affidò l'immagine ai padri benedettini cassinesi della chiesa dei Santi Severino e Sossio di Napoli, che costruirono una prima chiesa, detta "della Crocifissione".
Nella prima metà del XVII secolo, per ospitare i numerosi fedeli che venivano in pellegrinaggio presso l'immagine miracolosa, venne costruita una seconda chiesa, detta "superiore", progettata dall'architetto bergamasco Cosimo Fanzago ed un grande convento, oggi sede dell'istituto tecnico agrario provinciale "Umberto I" e della sede della provincia di Barletta-Andria-Trani.
Nella prima metà del XVII secolo, per ospitare i numerosi fedeli che venivano in pellegrinaggio presso l'immagine miracolosa, venne costruita una seconda chiesa, detta "superiore", progettata dall'architetto bergamasco Cosimo Fanzago ed un grande convento, oggi sede dell'istituto tecnico agrario provinciale "Umberto I" e della sede della provincia di Barletta-Andria-Trani.
In seguito ai danni subiti dalla città nel 1799 da parte delle truppe francesi della Repubblica Napoletana e delle truppe del duca di Andria, Ettore Carafa, ed in seguito alla soppressione degli ordini religiosi da parte di Gioacchino Murat, la chiesa venne abbandonata.
Il vescovo di Andria, Giuseppe Cosenza, si curò di ripristinare il culto della Madonna dei Miracoli d'Andria e nel 1837, con il consenso del re di Napoli Ferdinando II, affidò il santuario ai padri agostiniani di Napoli, che intrapresero subito i restauri della chiesa.
Nel 1855 Andria si salvò sia dall'epidemia di colera che aveva colpito la Puglia, sia dalla distruzione dei vigneti per una malattia parassitaria della pianta. Questo venne ritenuto un secondo miracolo e due corone d'oro furono poste sul capo della Madonna e del Bambino.
Sul seno della Vergine venne inoltre posta una rosa d'oro offerta dal re, anch'egli devoto della Vergine, con una cerimonia che si tenne il 3 maggio del 1857.
Nel 1857 il vescovo Longobardi ritenne che la Madonna avesse salvato Andria da un terremoto e la Madonna dei Miracoli venne dichiarata compatrona della città insieme a San Riccardo d'Andria.
Sul seno della Vergine venne inoltre posta una rosa d'oro offerta dal re, anch'egli devoto della Vergine, con una cerimonia che si tenne il 3 maggio del 1857.
Nel 1857 il vescovo Longobardi ritenne che la Madonna avesse salvato Andria da un terremoto e la Madonna dei Miracoli venne dichiarata compatrona della città insieme a San Riccardo d'Andria.
Dopo la confisca dei conventi e dei beni ecclesiastici da parte del nuovo Regno d'Italia nel 1866, il convento venne lasciato dagli agostiniani e la chiesa venne affidata ad un sacerdote cappellano. I fedeli donarono una statua d'argento alla chiesa, trafugata nel 1983, e nuovamente ricostituita.
Nel 1886, il santuario versava in gravi condizioni, e perciò furono richiamati gli agostiniani che subito costruirono un nuovo convento, oggi sede del centro d'accoglienza "Villa Santa Monica". Nel 1907, in occasione del cinquantesimo anniversario della incoronazione dell'immagine il santuario venne elevato a basilica minore
Nel 1886, il santuario versava in gravi condizioni, e perciò furono richiamati gli agostiniani che subito costruirono un nuovo convento, oggi sede del centro d'accoglienza "Villa Santa Monica". Nel 1907, in occasione del cinquantesimo anniversario della incoronazione dell'immagine il santuario venne elevato a basilica minore
Il santuario è sviluppato su tre livelli.
Il livello inferiore, la chiesa rupestre di Santa Margherita (IX secolo) è il più antico. La laura basiliana, include un'interessante sala a tre navate con decorazioni tratte dalla Genesi. In questa grotta è stata rinvenuta ed è presente tutt'ora l'icona bizantina della Madonna dei Miracoli.
Il livello medio (Tempietto)(XVI secolo) ha tre arcate in marmi policromi. Di particolare interesse la cappella della Crocifissione con bellissimi affreschi.
Il livello superiore del XVIII secolo fu progettato da Cosimo Fanzago (1591-1678).
l santuario della Madonna dell'Altomare, è un santuario cattolico della città di Andria (provincia di Barletta-Andria-Trani), situata sulla laura basiliana di Santa Sofia.
Il culto della Madonna dell'Altomare risale circa al 1598, anno in cui si sarebbe verificato un miracolo.
Alla fine del XVI secolo il luogo dove sorge la chiesa era situato alla periferia della città, all'esterno delle mura cittadine. Qui, una bambina caduta in una cisterna venne ritrovata solo dopo tre giorni di vane ricerche, in piena salute ed asciutta, sorretta da un'immagine della Madonna sopra il livello dell’acqua. La bambina avrebbe quindi raccontato che l'immagine l'avrebbe nutrita e sorretta.
Nel 1898 in occasione del terzo centenario del ritrovamento dell’immagine, la popolazione richiese l’incoronamento della Madonna: l’anno seguente assieme alla corona fu aggiunta all'immagine una rosa, una croce ed un libro.
Si conservano alcuni elementi considerati appartenenti alla precedente laura basiliana, tra cui una vasca circolare del diametro di 4,50 m e profonda oltre 1 m, e un affresco in una grotta adiacente che rappresenta un santo vescovo, forse riferibili ad un antico battistero nel quale il rito del battesimo veniva praticato per immersione. Sono inoltre stati rinvenuti tracce di tre pilastri e il pavimento in cocciopesto pertinenti ad un più antico edificio.
Il santuario è oggi formato da un'unica navata con le pareti in tufo, così come la laura di origine.
All'interno del santuario vi si trova la scultura "La Pietà dell’Altomare" di Luigi Enzo Mattei dichiarata insieme alle sue altre opere "'Patrimonio per una cultura della pace'" dall'UNESCO.
Chiesa rupestre di Santa Croce
Merita considerazione la cripta di Santa Croce che prende il nome dal Santo Legno della Croce ritrovato dalla madre di Costantino, Elena, secondo una leggenda tramandataci.
La cripta è ubicata in una zona la cui natura del terreno è prevalentemente tufacea e presenta grosse cavità sia naturali che derivano dal dilavamento di acque meteoriche. La cripta di S. Croce è particolarmente importante perché in questa zona ebbe inizio da parte dei monaci la costruzione della cripta – chiesa ottenuta scavando il tufo a partire "dalla strada e dal sito più agevole".
L'esterno è costituito da una originaria parte scavata nella roccia tufacea alla quale è stato aggiunto un avancorpo murario in blocchi adiacente ad un altro, anch'esso in tufo.
L'interno è di "forma basilicale, a tre navate sorrette da quattro pilastri naturali e chiuse da una quarta navatina trasversale". L'altare sorgeva nel mezzo di questa e dietro ad esso si prolungava la navata longitudinale mediana con un'abside semicircolare.
La volta, ricavata dallo scavo nel masso, è sorretta da quattro pilastri in tufo di forma trapezoidale. Notevole importanza assume l'insieme degli affreschi superstiti. Essi sembrano essere stati dipinti in maniera organica secondo un preciso programma iconografico e si notano in alcune parti fino a tre strati di intonaco sovrapposto, che dovevano far parte di una decorazione estendetesi per tutta la totalità della superficie tufacea.
Analizzando i principali affreschi, possiamo apprezzare un linguaggio bizantino, espresso da un Cristo Crocifisso con la Vergine, da S. Giovanni Evangelista e dalla Maddalena protesa verso terra. E' possibile notare ai lati dell'arco di accesso alla cripta, resti di "una Annunciazione" con un Arcangelo a sinistra e dall'altro lato, la Vergine Maria "dalle braccia incrociate ed il manto, originariamente azzurro; verso l'interno due raffigurazioni di Santi: Santa Dorotea e San Leonardo di Noblac, quest'ultimo ritratto in atteggiamenti tipici della cultura bizantina.
Il santo raffigurato sul pilastro, San Leonardo ricorre frequentemente negli affreschi, in quanto particolarmente caro alla famiglia di Francesco II del Balzo.
Analizzando i principali affreschi, possiamo apprezzare un linguaggio bizantino, espresso da un Cristo Crocifisso con la Vergine, da S. Giovanni Evangelista e dalla Maddalena protesa verso terra. E' possibile notare ai lati dell'arco di accesso alla cripta, resti di "una Annunciazione" con un Arcangelo a sinistra e dall'altro lato, la Vergine Maria "dalle braccia incrociate ed il manto, originariamente azzurro; verso l'interno due raffigurazioni di Santi: Santa Dorotea e San Leonardo di Noblac, quest'ultimo ritratto in atteggiamenti tipici della cultura bizantina.
Il santo raffigurato sul pilastro, San Leonardo ricorre frequentemente negli affreschi, in quanto particolarmente caro alla famiglia di Francesco II del Balzo.
Sulla facciata del secondo pilastro appare una rappresentazione pittorica di notevole interesse, utile per la decorazione degli stessi. Un pontefice dalla testa nimbata siede frontalmente in modo ieratico su di un trono scorciato: come San Leonardo, porta in capo il triregno e veste un ampio manto, benedice con la destra e tiene nell'altra mano un calice allungato a forma di navicella contenente due teste mozze; le increspature suggeriscono nei delicati effetti chiaroscurali, la posizione delle gambe che disarticolano la posizione frontale del pontefice. Si tratta del Beato Papa Urbano V, rappresentato con le teste dei santi Pietro e Paolo. E' singolare come l'immagine del pontefice sia posta frontalmente a due registri di affreschi con scene a carattere narrativo.
Nel registro superiore appare Sant'Elena nimbata con corona regale; nell'altro la Santa che assiste alla tortura di Giuda. Maggiormente rovinati i due riquadri inferiori, rappresentanti l'uno sant'Elena che assiste al ritrovamento miracoloso della "VERA CROCE" e l'altro, l'imperatore Costantino e sua madre Elena che adorano la Croce.
Giunti nella navata destra, in una fascia decorata posta sopra l'arco che incornicia l'abside si apprezzano un Cristo barbato e dentro cornici in forme antropomorfe, tutti ritratti a mezzobusto.
La parete di fondo presenta una scena di "Crocifissione" simile a quella d'ingresso. Sull'intradosso dell'arco posto tra la navata destra e quella centrale, una ulteriore fascia decorativa raffigurante Pontefici e Vescovi in quattro tondi romboidali i quattro Evangelisti.
Nel registro superiore appare Sant'Elena nimbata con corona regale; nell'altro la Santa che assiste alla tortura di Giuda. Maggiormente rovinati i due riquadri inferiori, rappresentanti l'uno sant'Elena che assiste al ritrovamento miracoloso della "VERA CROCE" e l'altro, l'imperatore Costantino e sua madre Elena che adorano la Croce.
Giunti nella navata destra, in una fascia decorata posta sopra l'arco che incornicia l'abside si apprezzano un Cristo barbato e dentro cornici in forme antropomorfe, tutti ritratti a mezzobusto.
La parete di fondo presenta una scena di "Crocifissione" simile a quella d'ingresso. Sull'intradosso dell'arco posto tra la navata destra e quella centrale, una ulteriore fascia decorativa raffigurante Pontefici e Vescovi in quattro tondi romboidali i quattro Evangelisti.
Interessanti le decorazioni della quattro scene evangeliche raffigurate sull'arco trionfale: la "Lavanda dei piedi", "l'Ultima Cena" a destra, i resti di "un'Annunciazione" a sinistra e la "Crocifissione" a destra.
Gli affreschi che decorano l'intradosso dell'arco tra la navata centrale e quella di sinistra sono i più noti e significativi della cripta; essi rappresentano due scene veterotestamentarie: la Creazione di Eva e il Peccato Originale. La decorazione nell'abside è completata dalla figura di San Francesco e la Madonna della Misericordia.
La Porta di Sant'Andrea è l'unica superstite delle quattro porte della città e ricorda il legame tra Andria e l'imperatore Federico II di Svevia.
Nelle sue vicinanze sorgeva una omonima chiesetta, abbattuta negli anni '50 assieme all'omonimo quartiere detto "Grotte". La struttura attuale è stata costruita nel 1593 in relazione, sembra, con l'invenzione con l'immagine sacra della Madonna dei Miracoli avvenuta nel 1576, nella cui direzione essa si apre. La data è incisa in maniera poco leggibile al di sopra della chiave dell'arco alla base di un grandioso stemma centrale, oggi scomparso. Sulla sommità della facciata tardo rinascimentale si trova incisa la seguente iscrizione:"IMPERATOR FEDERICUS AD ANDRIANOS, ANDRIA FIDELIS NOSTRIS AFFIXA MEDULLIS"
Gli affreschi che decorano l'intradosso dell'arco tra la navata centrale e quella di sinistra sono i più noti e significativi della cripta; essi rappresentano due scene veterotestamentarie: la Creazione di Eva e il Peccato Originale. La decorazione nell'abside è completata dalla figura di San Francesco e la Madonna della Misericordia.
Porta S. Andrea.
Nelle sue vicinanze sorgeva una omonima chiesetta, abbattuta negli anni '50 assieme all'omonimo quartiere detto "Grotte". La struttura attuale è stata costruita nel 1593 in relazione, sembra, con l'invenzione con l'immagine sacra della Madonna dei Miracoli avvenuta nel 1576, nella cui direzione essa si apre. La data è incisa in maniera poco leggibile al di sopra della chiave dell'arco alla base di un grandioso stemma centrale, oggi scomparso. Sulla sommità della facciata tardo rinascimentale si trova incisa la seguente iscrizione:"IMPERATOR FEDERICUS AD ANDRIANOS, ANDRIA FIDELIS NOSTRIS AFFIXA MEDULLIS"
Al di sotto di questa epigrafe, in luogo del citato stemma centrale, è murata una epigrafe apocrifa che reca l'iscrizione "1230". L'iscrizione si riferisce all'episodio riportato dalla tradizione secondo la quale nel 1229 l'imperatore Federico II di Svevia, di ritorno dalla Crociata detta anche "Crociata degli scomunicati" sbarcando in Puglia trovò numerose città in rivolta mentre solo Andria gli testimoniò amicizia e fedeltà.
Sempre secondo la tradizione, nei pressi della porta sarebbe avvenuto l'icontro tra Federico II di Svevia ed i rappresentanti delle famiglie nobili della città (Quarti, Curtopassi, Marulli, Conoscitore e Fanelli) che gli tributarono fedeltà.
In tale occasione l'Imperatore avrebbe dettato il citato esametro "Andria fidelis nostris nostris affixa medullis", poi inciso sulla sommità della porta. Per questo motivo la porta è chiamata dal volgo anche con il nome di "Arco di Federico".
Nella seconda metà del XVIII secolo la facciata fu sopraelevata con un fastigio barocco in tufo, ben distinguibile dalla parte sottostante in pietra calcarea.
Sempre secondo la tradizione, nei pressi della porta sarebbe avvenuto l'icontro tra Federico II di Svevia ed i rappresentanti delle famiglie nobili della città (Quarti, Curtopassi, Marulli, Conoscitore e Fanelli) che gli tributarono fedeltà.
In tale occasione l'Imperatore avrebbe dettato il citato esametro "Andria fidelis nostris nostris affixa medullis", poi inciso sulla sommità della porta. Per questo motivo la porta è chiamata dal volgo anche con il nome di "Arco di Federico".
Nella seconda metà del XVIII secolo la facciata fu sopraelevata con un fastigio barocco in tufo, ben distinguibile dalla parte sottostante in pietra calcarea.
Ubicato in corrispondenza del punto più alto della città, nei suoi pressi sorgeva la porta omonima, demolita nel XIX secolo.
La struttura normanna originaria doveva essere poco più che un palazzo fortificato costruito sul ciglio delle mura. Nel periodo svevo il castello fu ampliato con la costruzione di una torre quadrangolare collocata verso l'esterno, a ridosso della cinta muraria. Successivamente, in periodo aragonese, la torre fu circondata da un baluardo poligonale e ridotta in altezza per essere meno esposta al tiro delle artiglierie. Nella parte sud del castello furono costruiti degli alloggiamenti militari, successivamente trasformati dai Carafa in mulini.
Nella prima metà dell'800 la struttura originaria normanna era divenuta di proprietà privata e trasformata in abitazioni civili. Nel 1827 il bastione poligonale fu trasformato in sede del corpo di guardia urbano: una porta aperta a forza attraverso lo spessore murario reca nel cartiglio della chiave l'iscrizione "Custos Domus 1827". Successivamente l'intera struttura, compresa la zona dei mulini, è divenuta di proprietà privata. Nella seconda metà del XIX secolo la parte a nord del bastione è stata demolita per la costruzione di un edificio privato.
Quello che resta del castello è oggi incastrato tra un palazzo ottocentesco a sinistra, costruito sull'area delle fossate, ed un palazzo contemporaneo sulla destra.
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